Ave Donna Chiara Stella

Canti francescani alla Vergine di Loreto

AVE DONNA CHIARA STELLA promuove la riscoperta – in prima esecuzione moderna nella nostra Provincia – dei repertori vocali e strumentali della tradizione francescana delle Marche e delle regioni limitrofe del Centro Italia (Umbria e Abruzzo), in gran parte sconosciuti e provenienti da un unico manoscritto, il West. 84, di fine XV sec., conservato alla Columbia University (New York).

In particolare, grazie alle ricerche del musicologo Francesco Zimei, ci si riferisce alle polifonie a due voci, assimilabili ai discanti arcaici, con testi in volgare e influenze dialettali della zona, che prendono vita in una nuova esecuzione, non di tipo corale, ma solistico, di voci a cappella, o con l’accompagnamento di alcuni strumenti storici in uso nelle confraternite dell’epoca e negli oratori. Nelle sue più recenti ricerche, il Prof. Zimei mette in risalto la funzionalità di alcune di queste laudi, dedicate alla Vergine di Loreto, e la richiesta di protezione dalle tremende pestilenze che si sono succedute nel XV secolo.

G.D.E.

MICROLOGUS
Patrizia Bovi – canto
Goffredo Degli Esposti  – organo portativo
Gabriele Russo – viola 
Enea Sorini – canto
Federica Bocchini – canto
Lorenzo Lolli – canto e organo portativo

Il Corpus laudistico del manoscritto West. 84 (fine XV sec.) 

La Rare Book and Manuscript Library della Columbia University di New York conserva con segnatura West. 84 un’importante fonte di musica devozionale italiana, sinora completamente inedita.

Il manoscritto, di dimensioni piuttosto contenute (mm. 120×90), redatto un convento francescano osservante delle Marche negli ultimi decenni del Quattrocento, presenta, sia sotto l’aspetto materiale che contenutistico, caratteristiche affini ai vademecum approntati, per loro personale uso, dai frati impegnati nella predicazione: si tratta in genere di miscellanee ottenute attraverso l’assemblaggio di fascicoli preesistenti o per progressiva sedimentazione, che i religiosi portavano con sé nella loro intensa attività itinerante, raccogliendovi brani, citazioni e argomenti che avrebbero poi utilizzato sul pulpito.

La grande eterogeneità di temi e mezzi espressivi è uno degli aspetti salienti della nuova stagione dell’eloquenza francescana, inaugurata nella prima metà del secolo da san Bernardino da Siena e dagli altri “campioni dell’Osservanza” – san Giovanni da Capestrano, san Giacomo della Marca e san Roberto Caracciolo, solo per citare i più noti – attraverso uno stile predicatorio al quale Vincenzo De Bartholomaeis ha riconosciuto una sostanziale autonomia letteraria, il cosiddetto “sermone semidrammatico” (Origini della poesia drammatica italiana, 1952). Esso poteva limitarsi a incorporare la recitazione di testi poetici a monologo o in dialogo, secondo tecniche già adoperate dai giullari, ma anche trasformarsi in uno spettacolo vero e proprio, nel quale gli stessi frati mettevano in scena, sotto forma di brevi sketches, vari episodi della storia evangelica man mano che il predicatore li andava narrando ai fedeli.

Spesso, oltre alla gestualità e all’uso delle immagini, ci si avvaleva del canto delle laude, il quale, come è noto, fin dai tempi di san Francesco costituì uno degli espedienti più efficaci per eccitare la devozione della gente. Il ruolo trascinante della  musica nell’attività dei predicatori emerge in tutta la sua forza nei casi in cui il pubblico non si limitava a un ascolto devoto, ma veniva sollecitato dal predicatore a esaltare le proprie capacità interattive partecipando direttamente al canto, alla maniera di un responsorio. Un esempio illuminante è offerto da una redazione del sermone Amore langueo tramandata da un codice appartenuto a San Giovanni da Capestrano nel quale, al termine di un’accorata climax sul mistero della Passione, l’oratore invita i fedeli a cantare insieme a lui cum pia voce una lauda sulla morte di Cristo.

Ciò presuppone che tra i frati e la popolazione vigesse una effettiva condivisione del repertorio, alimentata da reciproche influenze culturali e dalla costante rotazione di melodie solitamente circolanti attraverso il canale dell’oralità. Fu anzi proprio la tradizione non scritta a ‘legittimare’ il ricorso a pratiche intrinseche alla produzione laudistica, come la contrafactio e il cantasi come, che gli stessi francescani avevano da tempo elevato a paradigmi ideologici del loro apostolato: pur avversando la lirica profana essi infatti ne riciclavano il rivestimento musicale per adattarlo ai testi spirituali affinché la immediata riconoscibilità di quelle melodie garantisse alle nuove composizioni grande facilità d’impatto e di diffusione.

In tal senso il manoscritto in esame, caratterizzato dalla presenza della notazione musicale, può essere considerato come l’eccezione che conferma la regola. La sua natura sembra essere oltretutto perfettamente complementare a quella di numerose raccolte di sermoni in cui la presenza di momenti riservati al canto delle laude è richiamata dalla semplice menzione dei relativi incipit letterari – uso che ebbe il suo epicentro proprio tra Marche, Abruzzo Settentrionale e Umbria.

Un aspetto suggestivamente arcaizzante di questo repertorio è il fatto che i pezzi siano tutti a due voci, spesso con caratteristiche affini a certe diafonìe di estrazione popolare sopravvissute proprio nell’area considerata (si pensi al canto a vatoccu umbro): tale forma potrebbe aver contraddistinto il modo di cantare dei primi laudesi, considerando ad esempio che san Francesco, dopo aver composto le Laudes creaturarum, prescrisse che i frati dovessero cantarlo in due, come avvenne quando intervenne a sedare la contesa tra il vescovo e il podestà di Assisi. 

Nell’ambito di un più ampio progetto di ricerca sull’argomento, ho appena ultimato l’edizione del corpus laudistico di West. 84 e, in attesa di darlo alle stampe, ho ricevuto ampia disponibilità dal celebre Ensemble Micrologus alla sua esecuzione integrale (ca. 70 minuti) e a una incisione discografica.

                         

      Francesco Zimei