
domenica 4 Gennaio
ore 17,30 – Sala dell’Editto
La noche sancta – La Natività tra sacro e profano
Villancicos dal Cancionero de Uppsala
ABALL REDON (Nord Italia – musica rinascimentale)
Luca Bocchia, canto, flauto dritto, percussioni Maria Primula Bollettini, canto Penelope Falsitta, canto Alessandro Guarneri, liuto Eugenio Milanese, viella Elisa Omodei Zorini, liuto Alessandro Podofillini, canto, flauto dritto
L’ensemble di musica antica Aball redon propone un concerto natalizio che rievoca la trama poetica che percorre e regge tutto il Cancionero de Uppsala la quale, attraverso il racconto di vicende amorose carnali, culmina con il canto della Noche sancta. Eseguirà una selezione di villancicos sia profani che sacri, rispettando l’ordine in cui questi compaiono nel libro, per condurre l’ascoltatore fino ad un momento di trasformazione inatteso, in cui d’un sol tratto il canto infelice di una notte d’amore illegittimo si capovolge nel canto estatico della notte in cui nacque Gesù bambino. Si potrà così percepire la notte di Natale come un accadimento sbalorditivo, umano e divino allo stesso tempo, carnale e spirituale, comprensibile e incomprensibile, nella convinzione che una simile concezione della Natività sia un tratto fondamentale della sensibilità rinascimentale, come testimoniato da questa pregevole opera libraria spagnola.
Il Cancionero de Uppsala, conosciuto anche come canzoniere del Duca di Calabria a causa della sua possibile provenienza, è una raccolta di villancicos impressa dal torchio di Gerolamo Scotto in Venezia nel 1556, la quale contiene alcuni degli esiti più felici della scrittura polifonica spagnola del Rinascimento. La forma del villancico, genere musicale di corte che affonda le proprie radici nella lirica popolare iberica, assume in quest’opera un carattere essenziale e sintetico, condensando in linee melodiche semplici e successioni armoniche apparentemente elementari un senso poetico e musicale raffinatissimo, a dimostrazione della compiutezza raggiunta all’epoca da questo linguaggio compositivo. Ne fiorisce, come risultato, una musica splendida, equilibrata, squisitamente cantabile, e sorprendentemente ricca nonostante la sua semplicità.
Numerosi musicologi hanno rilevato il possibile carattere didattico di questa singolare opera: sia per la relativa facilità di esecuzione, o per la disposizione dei brani in ordine di difficoltà progressiva, sia per l’impaginazione delle parti, sempre su due facciate attigue in modo da consentire la lettura contemporanea da parte di tutti i cantori. Lo studioso spagnolo Emilio Ros-Fábregas, in un interessante articolo1, ha tuttavia proposto di indagare più a fondo il significato della disposizione dei cinquantaquattro brani all’interno della raccolta: disposizione che in un’opera stampata è, oggi e ancor più allora, un elemento ben ponderato. Egli nota che, sfogliando l’indice della raccolta, un’anomalia salta subito all’occhio: a circa due terzi dell’opera, che fin qui annovera composizioni di tema amoroso, appaiono dodici villancicos de Navidad, seguiti poi da altri brani di tema profano. Come mai ai canti natalizi, genere musicale e poetico che noi consideriamo a sé stante, non viene dedicata la parte finale o iniziale del libro, separandoli dal resto? La spiegazione di Ros-Fábregas è che essi si iscrivono in un progetto lirico-narrativo unitario, che percorre tutta l’opera dall’inizio alla fine e nel quale il tema della Natività si inserisce come elemento continuo.
Il libro presenta da principio un gruppo di dodici villancicos che cantano i patimenti dell’amante non corrisposto, il quale si lamenta dell’indifferenza dell’amata. La presenza di temi e parole ricorrenti aiuta a percepire la relazione testuale fra questi brani, mentre la nota finalis di numerose composizioni si collega con l’iniziale della seguente, creando un senso di continuità musicale. Nelle dodici composizioni successive la trama si infittisce, poiché nei versi compare, oltre alla figura dell’amante e dell’amata (la quale inoltre qui comincia dire la sua), anche quella del marito: ciò in concomitanza all’adozione di una terza voce nella tessitura del contrappunto. Il tempo degli accadimenti volge alla sera, preparando lo scenario in cui si compirà il terzo atto.
Nella terza dozzina di villancicos, a quattro voci, l’amata mostra sempre più insoddisfazione verso il marito assente, e molta enfasi viene data al buio e alla notte, la quale è la dimensione del segreto, il momento in cui si vaga inquieti sotto la luna e, non riuscendo a dormire, ci si tormenta covando i desideri più indicibili. Alla fine di queste trentacinque liriche, dopo un’intensificazione drammatica e musicale sempre più apparente, giunge il colpo di teatro che incardina l’intero libro: il trentaseiesimo villancico è dedicato probabilmente ad una monaca, Teresica hermana, e canta:
– Hermana Teresa, si a ti pluguiesse,
una noche sola contigo durmiesse. Teresica hermana, de la fararirirà!
– Una noche sola yo bien dormiria
mas tengo gran miedo que m’empreñaria. Teresica hermana, de la fararirirà!
Hermana Teresa!
Llaman a Teresica y non viene; tan mala noche tiene.
Llàmala su madre y ella calla, juramento tiene hecho de matarla.
Que mala noche tiene!
– Sorella Teresa, se a te piacesse, una sola notte con te dormirei. Teresina sorella, de la fararirirà!
– Una sola notte io ben dormirei ma ho molta paura di ingravidarmi. Teresica sorella, de la fararirirà!
Sorella Teresa!
Chiamano Teresina e non viene; una così brutta notte ha trascorso. La chiama sua madre e lei tace,
ha fatto giuramento di ucciderla.
Che brutta notte!
Al culmine della tensione erotica, che aveva intessuto la prima parte del libro crescendo progressivamente, il desiderio si consuma e la mala noche ha come frutto la gravidanza di Teresina, esito che a questo punto della narrazione appare ineluttabile.
Ma ora, con uno scarto improvviso che toglie il fiato, il canto seguente recita:
no la devemos dormir la noche sancta
E così, con la giustapposizione fra la mala noche e la noche sancta, si svela la prospettiva di tutta la raccolta: comincia infatti qui la serie di villancicos dedicati alla Navidad. La notte proibita dell’amore illegittimo viene sublimata nella notte d’attesa prima della Venuta del Signore, nella quale Maria, apprestandosi solitaria a divenire madre, si domanda che farà quando avrà partorito il “Re della luce immensa”, se tremerà, o che cosa sarà capace di sussurrargli cullandolo fra le braccia. Nella dolcezza di questo brevissimo canto, che in modo così empatico tratteggia la figura della Madonna, si capovolge la notte: sotto la luna si veglia, ma per l’attesa del Signore e non più a causa del tormento amoroso; il concepimento non è più illegittimo, ma immacolato; il turbamento per un ingravidamento temuto si scioglie nel quieto fremito d’anticipazione della nascita del Bambino. Un senso di tranquillità riempie l’animo.
In questo modo, la sequenza di questi villancicos opera una trasformazione insospettata, a doppio senso. L’amore carnale si redime e risolve in quello sacro, che lo purifica e perdona, e contemporaneamente la storia di Teresica consente di percepire l’umanità della gravidanza di Maria, che nella straordinarietà della sua vicenda è raccontata però come una madre comune, con i suoi timori e la sua trepidazione. Ancora più miracolosa appare, accostata alla vergogna di Teresa, l’immacolatezza della Vergine. Nel perno centrale del cancionero de Uppsala si incontrano due donne, che vivono due forme d’Amore, due gravidanze e due notti così diverse, eppure comunicanti e forse, nella loro essenza, coincidenti.